quel che è rimasto di fine luglio

ogni notte.

un orecchio sul morbido, un occhio che vede non aria ma sguardo che non c’è, il tuo, una guancia che scende a valle verso il fiume della constatazione.

vuoi fiori luci ore?

e tutto ciò in mano non è altro che linee

mi aggiusto la farfalla e presento in silenzio questo futuro:

guarda, guarda per vedere cosa c’è.

quel che si perde di notte dallo sguardo è irrisolvibile.

in entrambe le mie fantasie sonnifere quel che c’è è la separazione.

(certo ti vien da ridere andando avanti e indietro sull’altalena)

e io con i piedi a terra, forse troppo sicura di un momento all’impiedi, ti urlo in faccia senza troppo sforzare la gola, che intanto io, essendo scesa da questo noioso gioco posso alzare il capo al cielo.

sarà inutile come scoperta ma è sempre meglio di non sapere affatto: le stelle fisse non esistono, in cielo c’è moto e morte. quel che noi non sappiamo donare al nostro bacio.

i sogni che li ho portato gli hanno fatto male. si è seccato, la saliva non era abbastanza per tanto sonno.

il tuo vino lo ha ubriacato. solo le dee avrebbero potuto reggere l’ebrezza.

allora la notte dopo tutto l’agonia del mio bacio, dopo aver pregato che vivesse, allungandogli solo il dolore e non la vita, ora che è cadavere qui al mio fianco quel che ancora posso fare – prima di raccogliere le ultime forze e seppellirlo – è ululare ad una luna che di giorno non vuol ricordarsi di trasformarsi in sole.

questo pensa la terra.

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